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domenica 10 maggio 2020

Un alto dosaggio di vitamina C può funzionare per la prevenzione e il trattamento del Covid-19?

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Un alto dosaggio di vitamina C può funzionare per la prevenzione e il trattamento del Covid-19?
Due notizie del mese scorso provenienti dalla Cina hanno destato molta attenzione: alcuni medici cinesi hanno curato pazienti in condizioni critiche affetti da Covid-19 con somministrazioni di un alto dosaggio di vitamina C per via endovenosa. Purtroppo, fino ad ora, la copertura dei media occidentali riguardo a questa notizia è stata scarsa o nulla. Questo articolo vuole capirne il motivo.

Tradotto dal tedesco da Veronica Simeoni 
per Pressenza.com 09.05.2020 
La prima notizia arriva da Shanghai. Il 1° marzo 2020 il Chinese Journal of Infectious Disease curato dalla Shanghai Medical Association pubblicò una relazione contenente raccomandazioni per il trattamento di pazienti con Covid-19 in cui veniva ufficialmente suggerita, tra le altre, anche la somministrazione per via endovenosa di alte dosi di vitamina C. Nei casi lievi e normali venivano indicate dosi dai 50 ai 100 mg per kg di peso corporeo al giorno, mentre nei casi più gravi le dosi si aggiravano dai 100 ai 200 mg. Queste dosi corrispondono a una somministrazione da 4 a 16 grammi al giorno per un adulto.
La seconda notizia proveniente dalla Cina riguarda una dichiarazione ufficiale del Second Affiliated Hospital Xi’an Jiaotong University (Ospedale di Xibei) nella provincia di Shaanxi. Ne pubblichiamo di seguito alcuni estratti:
Trattamento con alto dosaggio di vitamina C della polmonite da nuovo coronavirus – pubblicato il 21.02.2020
Nel pomeriggio del 20 febbraio 2020 sono stati dimessi altri 4 pazienti affetti da grave polmonite da nuovo coronavirus provenienti dal reparto occidentale C10 del campus New City appartenente all’ospedale di Tongji. Oggi altri 8 pazienti hanno lasciato l’ospedale.
Dopo 10 giorni di esami condotti dal team medico e di continui dibattiti, il nostro gruppo di esperti ha proposto l’attuazione di un piano specifico per l’associazione di alti dosaggi di vitamina C per il trattamento del nuovo coronavirus e ha ottenuto buoni risultati nell’applicazione clinica. (…) Riteniamo che i pazienti affetti da polmonite grave dovrebbero essere sottoposti al trattamento con vitamina C il più presto possibile dopo l’accettazione. Questo è dovuto al fatto che la causa principale di decesso è legata all’insufficienza cardiopolmonare, causata da un aumento dello stress ossidativo. (…) Nell’ipotesi in cui il virus provocasse un aumento dello stress ossidativo e della permeabilità capillare, l’utilizzo tempestivo di alti dosaggi di vitamina C può giocare un importante ruolo antiossidante, ridurre l’infiammazione e migliorare la funzione del tessuto endoteliale. (…) Un gran numero di studi ha dimostrato che le dosi di vitamina C sono strettamente legate a un effetto terapeutico. La nostra esperienza ricca di successi (…) dimostra che un alto dosaggio di vitamina C non migliora soltanto i livelli antivirali, ma è anche in grado di impedire e trattare lesioni polmonari acute (ALI) e insufficienza respiratoria acuta (ARDS).
La condizione attuale della Cina e come ci si è arrivati
Entrambe le notizie sono state riassunte in un articolo della rivista americana Orthomolecular Medicine News Service, in cui veniamo a conoscenza degli studi attualmente in corso in merito alla terapia intravenosa (IV) con vitamina C:
Il dottor Richard Z. Cheng, medico specialista cinese-americano, collabora a stretto contatto con le autorità mediche e statali di tutta la Cina. Ha svolto un ruolo chiave nella realizzazione di almeno tre studi clinici cinesi sulla vitamina C per via endovenosa che sono in corso. Attualmente, il dottor Cheng si trova a Shanghai e prosegue nel suo tentativo di incoraggiare un numero di ospedali cinesi sempre maggiore a fornire terapie a base di vitamina C ad alti dosaggi per via orale o endovenosa”.
Infatti il dottor Cheng scrive sul suo sito Cheng Integrative Health Center Blog che durante un incontro online tra medici e studiosi in merito alla cura dei pazienti con Covid-19 venne suggerita dal dottor Mao, membro del team di esperti dello Shanghai Public Health Center, la terapia di vitamina C per via endovenosa, da lui utilizzata da oltre 10 anni contro la pancreatiti e sepsi, nella guarigione delle ferite post operatorie e nel trattamento di altre malattie. Sollecitò inoltre la cura dei pazienti con Covid-19 a Shanghai, dove non si sono registrati casi di decessi e tutti i pazienti sono guariti.
Perché nei media occidentali non ne abbiamo sentito parlare?
L’articolo sulle due notizie provenienti dalla Cina, che possono essere consultati nei link forniti e inserendo il testo cinese in un traduttore automatico, è stato ripreso da alcuni portali, come la piattaforma di medicina alternativa greenmedinfo.com e in altri articoli. Tuttavia, i principali media non ne hanno parlato.
Anzi, se si cercano le parole chiave “vitamina C” e “corona” in un motore di ricerca si trova un gran numero di avvertimenti secondo cui la vitamina C non aiuterebbe nella cura del Covid-19 ma che, al contrario, sarebbe dannosa.
Come mai? È generalmente risaputo che, in caso di raffreddore, influenza e virus influenzali la vitamina C rafforza il sistema immunitario e contribuisce alla guarigione.
Anche la Corea del Sud ha registrato dei successi e la Cina ha importato tonnellate di vitamina C
Proseguiamo la nostra ricerca e grazie a un altro articolo della rivista Orthomolecular Medicine News Service veniamo a sapere che si registrano degli ottimi risultati terapeutici con la vitamina C non solo in Cina ma anche in Corea del Sud, dove i medici dell’ospedale Daegu hanno riportato dei simili successi: “Qui tutti i pazienti e collaboratori assumono vitamina C. I pazienti con sintomi da Covid-19 ne ricevono 30.000 mg in ogni flebo. Alcuni sono guariti nel giro di due giorni”.
Scopriamo inoltre che dopo i primi risultati terapeutici in Cina è stata portata una grande quantità di vitamina C a Wuhan. In effetti, il 3 febbraio 2020 l’industria chimica olandese DSM scrisse su Twitter: “Ieri abbiamo trasportato 50 tonnellate di vitamina C dal nostro stabilimento DSM a Jiangshan alla provincia dell’Hubei, di cui Wuhan è la capitale”.
La terapia con vitamina C non è una novità e viene usata anche negli USA
Più si sa dove cercare, maggiore è il numero di notizie che viene alla luce. Anche il britannico Daily Mail e L’Express riportano la notizia degli ottimi risultati terapeutici cinesi. Nell’articolo dell’Express Coronavirus cure: Could Vitamin C be the wonder vaccine? China’s doctors think so viene inoltre descritto come la vitamina C sia stata già utilizza con successo in esami passati contro qualsiasi altra tipologia di virus. Per esempio, il cardiologo americano dottor Thomas Levy, membro dell’equipe medica della nota Riordan Clinic nel Kansas, USA, dove la terapia con vitamina C per via endovenosa viene studiata da oltre 30 anni.
In questi giorni è comparsa un’altra notizia: come ha riportato il New York Post, i pazienti affetti da Covid-19 ricoverati negli ospedali e nelle cliniche dello stato di New York vengono curati con vitamina C per via endovenosa. Questa notizia è stata confermata anche da Newsweek e, in lingua tedesca, dalla rivista svizzera Nau Media.
Perché quindi la terapia con alti dosaggi di vitamina C viene così ignorata?
Come mai di queste notizie non si discute pubblicamente, se esiste la possibilità di guarire le persone e sottrarle alla morte? Quali prove ci sono contro l’uso della vitamina C e quali esperienze scientifiche esistono realmente?
Troviamo una risposta nell’articolo del Minnesota Spokesman-Recorder, in cui la dottoressa Alyse Hamilton sottolinea che l’affermazione secondo cui alti dosaggi di vitamina C siano dannosi è da ricondurre a uno studio, che nel frattempo è stato messo in discussione, nel quale si sostiene che possa provocare calcoli renali. Ricorda inoltre un suo collega, il Direttore Sanitario della già citata Riordan Clinic, il dottor Ron Hunninghake, il quale afferma di aver curato decine di migliaia di pazienti nel corso degli anni tramite la terapia di vitamina C per via endovenosa (con iniezioni fino a 300.000 mg) e di conseguenza il Kansas dovrebbe avere il numero più alto a livello mondiale di casi di calcoli renali. In tutti questi anni, però, soltanto alcuni pazienti li hanno sviluppati.
Sorge spontanea una domanda: anche se le affermazioni di questo studio fossero vere, non sarebbe comunque meglio, considerata la situazione globale attuale, curare prima di tutto i pazienti critici con Covid-19, invece che perderli, e solo dopo procedere a una rimozione dei calcoli renali, oggi un’operazione relativamente semplice?
Che cosa fa effettivamente la vitamina C ad alti dosaggi?
Uno dei più grandi problemi nei pazienti con Covid-19, così come anche in altri malati virali, è che i livelli di vitamina C che normalmente vengono assunti attraverso un’alimentazione sana si esauriscono velocemente. Se si aggiungono poi un’infiammazione o malattie pregresse in corso, il sistema immunitario collassa e vengono prodotte molte sostanze chimiche (citochine) che scatenano la cosiddetta tempesta di citochine. Questa porta a una forte reazione infiammatoria, con la quale viene prodotta una grande quantità di radicali di ossigeno liberi aggressivi (ossidanti) che danneggiano cellule e tessuti, portando, nel peggiore dei casi, al collasso degli organi. Questo è proprio quello che accade nei pazienti che muoiono in seguito a un’infezione da Covid-19. La vitamina C è un antiossidante e può catturare elevati quantitativi di radicali di ossigeno liberi nel caso di un collasso degli organi (fonte: Orthomolecular Medicine News Service).
Primi studi clinici in corso in Cina
Uno degli studi già citati del dottor Richard Cheng viene messo in pratica presso la University Medical Center Zhongnan a Wuhan, proprio dove è scoppiata inizialmente l’epidemia. Qui ai pazienti affetti da Covid-19 vengono somministrati per 7 giorni alti dosaggi di vitamina C (24.000 mg al giorno). Questo trattamento fa parte di uno studio condotto dal professor Zhiyong Peng, medico ospedaliero senior del Medical Centers di Wuhan, al quale partecipano 140 pazienti. Ha avuto inizio il 14 febbraio e dovrebbe durare fino a settembre. Lo studio può essere consultato qui in lingua inglese. Si spera di avere dei risultati preliminari nelle prossime settimane e nei prossimi mesi e che questi vengano ripresi anche dai media occidentali.
Digressione sulla medicina ortomolecolare e la vitamina C
L’assunzione di alti dosaggi non solo di vitamina C, ma anche di altre vitamine, sostanze minerali e oligoelementi per la prevenzione e la cura di malattie è nota da tempo. Questa pratica è conosciuta con il nome di medicina ortomolecolare e risale al chimico premio Nobel americano Linus Carl Pauling. Alla base della medicina ortomolecolare si trova la tesi controversa secondo cui al giorno d’oggi è praticamente impossibile rifornirsi delle sostanze vitali attraverso un’alimentazione sufficientemente bilanciata poiché gli alimenti trattengono soltanto una frazione delle sostanze originariamente contenute a causa dei processi innaturali di coltivazione, trasporto, stoccaggio e preparazione. Questo può provocare, in gran parte della popolazione, una carenza cronica di queste sostanze. (Fonte: Wikipedia)
Questa ipotesi è stata avvalorata da nuovi studi, come quello condotto da Irakli Loladze, il quale ha scoperto che l’aumento delle emissioni di CO2 rafforza la crescita delle piante, ma allo stesso tempo ne riduce il contenuto di principi nutritivi. È quasi come quando si aggiunge dell’acqua al caffè: se ne aumenta il volume, ma diventa anche più leggero e poco intenso. In un articolo pubblicato su Politico, rivista americana che vanta tra i propri lettori anche responsabili politici di Washington, Loladze illustra il fondamento scientifico della sua ipotesi e i risultati ottenuti durante 17 anni di ricerca. Si aggiungono, inoltre, i terreni impoveriti ed erosi a causa dell’industrializzazione dell’agricoltura, la semenza geneticamente modificata nonché l’inquinamento crescente da pesticidi, erbicidi e simili. Non c’è da stupirsi quindi se gli alimenti hanno perso i valori nutritivi che avevano un centinaio di anni fa.
Raccomandazioni della società tedesca per la medicina ortomolecolare
Torniamo ora agli alti dosaggi di vitamina C e al coronavirus. Anche in Germania esiste da molto la Deutsche Gesellschaft für Orthomolekular-Medizin e.V., che si occupa di questi temi. Sul loro sito, nella sezione “Aktuelles” è possibile leggere un approfondimento sulla terapia del coronavirus. Si legge:
Le infezioni da coronavirus possono essere curate con successo con infusioni per via endovenosa di vitamina C. Tutte le infezioni virali sono curabili”. Prosegue: “Le misure tradizionali come lavarsi le mani, usare le mascherine, disinfettare le maniglie delle porte e i sostegni sono altrettanto importanti. Le quarantene vengono impiegate da centinaia di anni con successo, ma sono anche legate a una forte limitazione dei diritti delle persone. Il contrasto ottimale dell’epidemia tramite l’assunzione di acido ascorbico (vitamina C) attenuerebbe le conseguenze a livello individuale e a livello dell’economia mondiale”.
Viene anche suggerita l’assunzione per via orale come forma di prevenzione. In merito alle raccomandazioni per la somministrazione orale di alti dosaggi di vitamina C, presentate dal dottor Atsuo Yanagisawa, presidente della International Society for Orthomolecular Medicine e direttore del Japanse College of Intravenous Therapy di Tokio, i medici professionisti possono fare riferimento a questo video su YouTube (in lingua giapponese, con sottotitoli inglesi).
Le dosi contano
Abbiamo ora appreso da diverse fonti che negli ospedali possono essere somministrati alti dosaggi di vitamina C per via orale e endovenosa che funzionano sia come prevenzione che come terapia. Le raccomandazioni più comuni riportano nella norma un dosaggio troppo basso. È proprio questo che viene sottolineato dai medici dell’ospedale universitario di Xi’an-Jiaotong nella loro dichiarazione, ed è questo il criterio decisivo che l’intero movimento di medicina ortomolecolare considera come elemento chiave.
Assunzione per via orale – prescritta dai medici o scelta individualmente come prevenzione
L’assunzione per via orale di alti dosaggi di vitamina C, adatti sia per la prevenzione sia per il trattamento di pazienti con un decorso della malattia lieve o medio, può essere prescritta dai medici di base in forma di compresse. In effetti, alcuni medici tedeschi indipendenti suggeriscono questa forma di prevenzione per i pazienti a rischio con patologie pregresse, come per esempio il diabete. Chi desidera proteggersi, deve rivolgersi al proprio medico di base accennando a questa possibilità.
Ma è possibile anche assumere autonomamente la vitamina C sotto forma di acido ascorbico, disponibile in qualsiasi parafarmacia. È fondamentale sapere che l’assunzione per via orale di vitamina C non deve superare la dose consigliata. Un eccesso di vitamina C, che il corpo non può utilizzare, viene normalmente espulso attraverso le urine. Nel peggiore dei casi, si può verificare diarrea, per cui la dose deve essere ridotta di conseguenza.
Le dosi consigliate dalla società tedesca per la medicina ortomolecolare coincidono con quelle della dottoressa Alyse Hamilton, di cui abbiamo citato lo studio controverso in relazione ai calcoli renali: 50 milligrammi di vitamina C in polvere per chilogrammi di peso corporeo. Quindi a un peso di 60 chili corrisponde una dose giornaliera di 3000 mg o 3 gr di acido ascorbico (all’incirca un cucchiaino da tè), ripartiti in tre assunzioni durante l’arco della giornata. In caso di esposizioni, rischi o sintomi la dose giornaliera deve essere aumentata, naturalmente dopo aver consultato il proprio medico di curante.
La terapia IV
Anche nel caso della somministrazione per via endovenosa, la cosiddetta terapia IV, abbiamo raccolto molte raccomandazioni da parte di medici e cliniche operanti in Cina o altrove. Gli alti dosaggi di vitamina C possono essere somministrati per via endovenosa solo da un medico o da personale medico specializzato. È tuttavia importante essere a conoscenza di questo tipo di terapia, anche se è ancora messa in discussione. Un dettaglio interessante: anche in Germania la terapia a base di vitamina C per via endovenosa non è così inusuale. Sul portale Naturheilkunde.de nella sezione “Vitamin-C-Infusionstheorie” è possibile inserire il proprio codice postale e trovare con un click medici e naturopati nelle vicinanze che offrono questo tipo di terapia. Se, per esempio, si inserisce la città di Monaco, appaiono più di 100 risultati.
Sintesi
Come è possibile che durante una crisi acuta senza precedenti, che sta provocando decine di migliaia di morti e contagiando centinaia di migliaia di persone e di cui non è ancora possibile intravedere la fine, notizie del genere che riguardano trattamenti curativi con ottimi risultati terapeutici in Cina vengano menzionate soltanto da media specializzati?
Le fonti e gli esempi dei sostenitori della terapia a base di alti dosaggi di vitamina C in relazione a qualsiasi malattia virale riportati in questo articolo sono soltanto alcuni dei molti che, sulla base delle loro ricerche, hanno a lungo raccomandato questo approccio, tra cui per esempio il ricercatore e medico americano Frederick R. Klenner o la dottoressa Suzanne Humpries, internista e specialista americana delle nefropatie, solo per citarne alcuni. E se la terapia fosse così pericolosa, come molti media sostengono, perché in Germania è permessa e viene praticata anche da molti medici e naturopati?
In una società aperta e illuminata si deve discutere di questi risultati, a maggior ragione in una situazione così urgente come quella attuale. È davvero possibile che sia così forte la pressione dell’industria farmaceutica, che non ha alcun interesse in un prodotto conveniente, non brevettabile e quindi liberamente disponile come la vitamina C?
Nel suo ultimo articolo, un medico canadese, il dottor Ken Walker, il quale scrive anche sotto lo pseudonimo di dottor W. Gifford Jones, ha giustamente puntualizzato: “Se i nostri globuli bianchi, che combattono contro l’infezione, non fossero carichi di vitamina C, sarebbero dei militari senza proiettili”. Ora è il momento di dare ai nostri medici e paramedici le giuste munizioni per guarire meglio e più velocemente, per il bene di tutti!
Infine, c’è un ulteriore dettaglio interessante, ben noto agli esperti: gli animali, al contrario degli esseri umani, sono in grado di produrre da soli la vitamina C, fino a 5 gr al giorno in condizioni di salute e fino a 100 gr al giorno in caso di infezione. A tal proposito, diventa chiaro il motivo per cui è stata rilevata la presenza di coronavirus negli animali domestici dei pazienti infetti, ma fino ad ora non è stato segnalato alcun focolaio tra animali domestici.
Conclusioni
La riduzione dei contatti sociali, il frequente lavaggio delle mani e tutte le altre raccomandazioni ufficiali hanno naturalmente la priorità più alta. Tuttavia, bisogna anche ricordare che chi cura ha ragione. Questo vale sin dai tempi di Ippocrate. Chiunque voglia informarsi su nuovi e possibili metodi di guarigione deve anche avere il diritto e soprattutto la possibilità di ricevere tutte le informazioni e prendere una decisione autonomamente.
Questo articolo non vuole essere una valutazione scientifica, ma piuttosto una rielaborazione giornalistica delle informazioni disponibili. Ci auguriamo che i media pubblici, ben sovvenzionati con le nostre tasse, possano fare lo stesso.


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lunedì 8 ottobre 2018

Il trattamento della poliomielite e altre malattie virali con vitamina C.

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Fred R. Klenner, MD, Reidsville, North Carolina


In un articolo precedente, che riguardava le proprietà antagonistiche dell’acido ascorbico rispetto al virus della polmonite atipica, fu menzionato il fatto che altri tipi di infezioni virali hanno risposto in modo favorevole alla vitamina C. 

Questo articolo presenta queste conclusioni come pure i risultati di studi successivi sul virus della poliomielite, sui virus che causano il morbillo, gli orecchioni, la varicella, l’Herpes zooster, l’Herpex simplex e l’influenza. 
Verranno anche discussi ulteriori studi sul virus della polmonite atipica. 
Queste osservazioni sull’azione dell’acido ascorbico nelle malattie virali furono fatte indipendentemente da ogni conoscenza di studi precedenti che usavano la vitamina C nella patologia virale, eccetto il rapporto negativo di Sabin dopo avere trattato sperimentalmente delle scimmie Rhesus infettate dal virus della poliomielite. 

Un esame della letteratura nella preparazione di questo articolo, comunque, ha presentato un quasi incredibile record di tali studi. 
Gli anni di lavoro nella sperimentazione con animali, i costi in sforzo umano e in “sovvenzioni” ed i volumi 2 scritti mostrato che la media era di 6,6 giorni, con la inoculazione intracerebrale, e dieci giorni se si usava la via intravenosa. 

Howitt riporta che il virus raggiunge prima il sistema nervoso dopo instillazioni intranasali che dopo quelle intravenose. 
La trasmissione (Brodie, 1934) è attraverso goccioline dalla membrana mucosa del tratto respiratorio superiore. 
L’infezione attraverso il latte crudo, le feci umane e le feci casalinghe è altamente improbabile. 
La ricerca di Flexner, Clark e Amoss nel 1914 provò che la poliomielite è una malattia dell’intero sistema nervoso, che i gangli sensoriali sono i siti di iniziali e profondi cambiamenti istologici. 
La malattia è significativa soprattutto per la paralisi prodotta attraverso la lesione dei neuroni motori della spina dorsale e del cervello. 
Ciò è causato da una affinità speciale del virus per un certo tipo di tessuto nervoso. 
Gli esperimenti mostrano che la corteccia cerebrale è il posto meno soddisfacente per la crescita e che grandi quantità di virus poste in questa area sono in condizione di sparire in breve tempo. 
Le osservazioni nelle scimmie e nell’uomo mostrano che le cellule anteriori a corno, particolarmente quelle della spina dorsale lombare, costituiscono i siti più preferiti per la proliferazione del virus. 
In tutti i pazienti clinicamente malati il virus alla fine viaggia nel corso della sua invasione attraverso vari canali. 
Il virus può fare un assalto diretto attraverso il bulbo olfattivo, fino al cervello, al midollo ed alla spina dorsale. 
Il virus può entrare nel flusso circolatorio direttamente o tramite i canali linfatici. 
A seguito del danno alla naturale barriera protettiva, il plesso coroidale, il virus può trovare la sua strada fino al sistema nervoso centrale, o può essere escreto all’indietro sulla membrana mucosa nasale dove prenderà la rotta diretta al bulbo olfattivo. 

 Clark, Turner and Reynolds (1926, 1927, 1929) conclusero che il virus viaggia principalmente con la rotta diretta al cervello. 
Lenten and Hudson (1935) hanno confermato questa teoria ed hanno riportato i loro studi che indicano che l’infezione umana è soprattutto attraverso il naso-faringe. 
Brodi ed altri hanno mostrato nelle scimmie che, attraverso la resezione dei tratti olfattivi, l’infezione per via diretta era impedita. 
E’ di interesse più che accademico il fatto che, mentre la mucosa nasale della scimmia contiene rami dei nervi craniali quinto e settimo e, per di più, poiché il virus può facilmente gravitare dal naso-faringe al letto tonsillare con la sua fornitura nervosa, se i tratti olfattivi sono tagliati, l’infezione non si presenterà. 

La spiegazione più probabile è che il sistema olfattivo è privo di midollo, i neuroni risiedono nella mucosa nasale e sono così esposti al virus. 
Il nervo sciatico (Brodi) trasporterà il virus solo quando è stato offeso, suggerendo che la mancanza di mielina potrebbe rendere un nervo olfattivo sano vulnerabile al virus. 

La più importante tra le vie secondarie di infezione è tramite la escrezione del virus dal flusso sanguigno alla mucosa nasale. 

Lenten and Hudson (1934, 1935) hanno dimostrato nelle scimmie che, tagliando i tratti olfattivi e quindi inoculando il virus della poliomielite per via intravenosa, essi potevano prevenire l’infezione. 
Questo sarebbe in accordo col lavoro di Jungeblut ed altri per cui la diffusione del virus atttraverso il sistema nervoso centrale avviene lungo i tratti nervosi, piuttosto che per mezzo del fluido cerebrospinale, e che l’infezione diviene manifesta quando il primo gruppo di cellule è raggiunto, e, con la trasmissione tramite fibre, raggiunge il cervello medio. 

Qui numerosi sentieri di fibre corrono in tutte le direzioni ed il virus è trasportato dagli assoni sia motori che sensoriali, causando la malattia a vari livelli del cervello e della spina dorsale. Poiché c’è sempre un periodo di setticemia nei primi giorni della poliomielite, potrebbe essere che questa sia la via più importante e che il virus cresca sul tessuto vivente, nel sangue e quindi sia 3 depositato fuori sulla superficie del bulbo olfattivo. 

Da ciò concludiamo che il tempo per distruggere il virus è durante questo periodo di incubazione, che varia più con la virulenza e potenza della moltiplicazione che con la dimensione della dose iniziale. 
La seconda importante manovra al fianco è attraverso il plesso coroidale. 
La funzione del plesso coroidale, e dei vasi linfatici della pia madre, è quella di espellere il virus presente nel sangue dal sistema nervoso. 
Una volta che queste strutture protettive sono ferite, comunque, l’espulsione cessa e prontamente ne segue l’infezione. 
I cambiamenti nella struttura e nel funzionamento del complesso plesso-coroidale-meningeo, troppo leggero per essere rilevato nel fluido cerebrospinale o come alterazioni morfologiche, diminuiscono materialmente la loro potenza protettiva. 
Flexner e Amoss iniettarono grandi dosi di virus intravena, quindi hanno analizzato il fluido cerebrospinale e non trovarono virus dopo le prime 48 ore, piccole quantità di virus alla fine delle 72 ore, dopo 96 ore trovarono l’evidenza del libero accesso al sistema. I

l virus era ancora presente 19 giorni dopo, quando stava iniziando la paralisi. 
La poliomielite nell’uomo è sempre più grave se si fa esercizio fisico al tempo dell' infezione. Qui va considerato il fattore per cui la filtrazione del virus attraverso il plesso coroidale è incrementata per via dell’aumento della pressione del letto vascolare. 
Inoltre, a causa dell' accelerazione del flusso sanguigno, causata dalla aumentata domanda di ossigeno durante lo sforzo fisico, ne potrebbe risultare un marcato incremento della percentuale di virus depositato sulla mucosa nasale. 
Siamo d’accordo, con Fairbrother e Hurst, che è stata data troppo poca importanza alla patologia del sistema nervoso ed in particolare al drenaggio dei fluidi tissutali. 

Costoro hanno confermato un precedente lavoro di Schroder, il quale ha evidenziato che il normale flusso di questi fluidi è lungo gli spazi perivascolari dal centro della spina dorsale verso l’esterno e che ogni essudato infiammatorio che occupa questi spazi deve essere rimosso nelle maglie della pia madre, inoltre che l’infiltrazione meningea potrebbe sembrare nulla più di un drenaggio di cellule dall’interno della spina dorsale. 

Fairbrother e Hurst trovarono che l’infiltrazione meningeale non si presenta nelle scimmie fino a che l’infiltrazione perivascolare, che comincia nei vasi più profondi, raggiunge la superficie. 
La presenza del microrganismo filtrabile, o virus della poliomielite, sopra la membrana mucosa del naso e della gola non porta necessariamente alla infezione. 
Potrebbe dare luogo ad una classe di portatori sani che sono essi stessi immuni. 
Amoss e Taylor hanno trovato una secrezione della membrana mucosa capace di neutralizzare o disattivare il virus, questa proprietà essendo del tutto assente dalle secrezioni di alcune persone ed essendo presente in quelle di altre persone in un certo tempo e non in un altro. 
E’ probabile che, in animali attivamente immuni, il passaggio della sostanza neutralizzante dal sangue al fluido cerebrospinale di solito continui l’infiammazione presente nelle meningi e renda le strutture facilmente permeabili ai costituenti proteici del sangue. 
Questa secrezione X potrebbe non avere le proprietà di un vero anticorpo. 

Il virus della poliomielite è intracellulare allorché invade le cellule terminali del sistema olfattivo fino alla fine della malattia, eccetto quando attraversa le giunzioni sinattiche tra le cellule. 
Questo spiega perché il virus non può essere neutralizzato da anticorpi nel siero. 
Una ulteriore protezione il virus se la può permettere tramite la barriera funzionale tra la circolazione sanguigna ed il sistema nervoso centrale. 
Poiché l’immunizzazione contro la poliomielite comparabile a quella contro altre malattie batteriche è ancora da venire (1949! n.d.t.), va da sé che potrebbero trovarsi degli antibiotici che potrebbero distruggere questo flagello mentre è nella fase di invasione del flusso sanguigno. 
Il rapporto negativo di Sabin sul valore dell’acido ascorbico contro il virus della poliomielite arrestò il lavoro 4 di Jungeblut, ma noi eravamo al corrente del suo spettacolare effetto sul virus che causa la polmonite atipica e così nutrimmo la speranza. 

Questi risultati furono così regolarmente positivi che non esitammo a provarne l’efficacia contro tutti i tipi di infezioni virali. 
La frequente somministrazione di dosi massicce di vitamina C fu così incoraggiante, nei primi giorni dell’epidemia di poliomielite del 1948, che cominciammo un esame della letteratura. 
Heaslip, in Australian Journal of Experimental Biology & Medicine ha riportato, in una prova di carico, una escrezione urinaria media di vitamina C del 19,9% in 60 casi di poliomielite, in contrasto con una cifra media del 44,3% in 45 soggetti sani. 
Questo suggeriva una qualche relazione tra il grado di saturazione in vitamina C e lo stato infettivo e non infettivo. 
Egli fu anche abile a mostrare una correlazione tra la gravità dell’attacco ed il livello di escrezione urinaria della vitamina. 
Questo indicherebbe che una deficienza di vitamina C nella dieta predisporrebbe all’infezione ed alla severità dell’attacco. 
Sabin riportò che non c’era una differenza apprezzabile nella infettività della poliomielite, nelle scimmie, con maggiore o nulla vitamina C nella dieta. 
Molti altri, comunque, hanno riportato che una “nutrizione insufficiente in vitamina C aumenta la suscettibilità all’infezione” e molti altri che gli animali che morivano per gli effetti del virus della poliomielite mostrano una riduzione di vitamina C nei tessuti. 

Heaslip trovò una relazione certa tra la gravità dell’infezione ed il livello di vitamina C nella nutrizione. 
Ciò è consistente con l’accettata azione fisiologica della vitamina C per cui ci si aspetta un effetto anti-edema in ogni data area affetta. 
E’ degno di nota che le tossine batteriche possono causare perdite dal 50% allo 85% della vitamina C normalmente contenuta nelle ghiandole adrenali. 

Le ricerche di Jungeblut sembravano giustificare la conclusione per cui la vitamina C era l' “antibiotico” che solitamente distruggeva l’organismo virale. 
Egli dichiarò che la somministrazione profilattica e terapeutica di vitamina C sintetica o naturale aveva fornito la prova che essa aveva distinte proprietà terapeutiche nella poliomielite sperimentale, e che l’appropriata dose da iniettare era direttamente proporzionale alla velocità dell’infezione ed allo stadio a cui il processo era giunto. 

Jungeblut dichiarò, nel 1937, che la somministrazione parenterale di vitamina C naturale, durante il periodo di incubazione della poliomielite nelle scimmie, è sempre seguita da un distinto cambiamento nella gravità della malattia; che dopo il quinto giorno di malattia sono chiaramente richieste dosi maggiori. 
Egli si rese conto, a quella data iniziale, che per una infezione che progrediva velocemente, come risulta con il ceppo R.M.V., sarebbero state richieste dosi molto grandi, 400 mg di C cristallina al massimo, in un periodo di 24 ore; per il virus Aycock, con il suo più lento potenziale infettivo, erano sufficienti piccole quantità di vitamina. 
Perfino con quantità quasi infinitesimali-100 mg di acido ascorbico per ogni periodo di 24 ore-egli poté dimostrare che i sopravvissuti non-paralitici, in una serie, erano sei volte maggiori dei controlli. 
Nel nostro lavoro parleremo di 6, 10 e 20 mila mg nello stesso periodo di tempo. 
Harde et al. hanno riportato che la tossina della difterite è disattivata dalla vitamina C in vitro e, in misura inferiore, in vivo. 

Io ho confermato questa scoperta ed in verità l’ho estesa. 
La difterite può essere curata nell’uomo con la somministrazione di frequenti dosi massicce di acido hexuronico (vitamina C) date endovena e/o intramuscolo. 
C’è una risposta piccola al farmaco sintetico, dato per bocca, anche se si usano 1000 o 2000 mg ogni due ore. 
Questa cura della difterite si continua fino a metà del tempo richiesto per rimuovere la membrana e dare strisci negativi alla antitossina. 
Questa membrana è rimossa per lisi quando si fornisce la “C”, piuttosto che dalla rimozione di tessuto morto, come risulta dall’uso della antitossina. 

Un vantaggio di questa forma di terapia è che il pericolo di reazioni al siero è eliminato. 
Il solo svantaggio della terapia con acido ascorbico è l’inconveniente delle iniezioni multiple. Il concetto dell’azione della vitamina C contro certe tossine ha portato a trattare altre malattie che producono esotossine. 
E’ stato per anni di nostra conoscenza 5 che la vitamina C in dosi da 500 a 1000 mg, iniettata intramuscolo, era solita curare la dissenteria batterica del tipo Shiga. 
Bambini che avevano da 10 a 15 scariche sanguinose al giorno erano curati in 48 ore con questo programma mentre allo stesso tempo tornavano all’alimentazione normale. 
Questa doppia azione della vitamina C, contro certe tossine e contro l’organismo virale, diviene più comprensibile con il lavoro di Kligler, Warburg ed altri che credevano che la disintossicazione effettuata dall’acido esauronico fosse portata avanti da una combinazione diretta della vitamina con la tossina o il virus, seguita dall’ossidazione del nuovo composto che distrugge sia il virus che la tossina e la vitamina. 

Borsook et al. decisero che la principale azione chimica dell’acido ascorbico è come potente agente riducente, e si sa che il virus che causa la poliomielite è suscettibile all’azione ossidante di vari agenti. 
E’ il punto giusto per rimarcare che la vitamina C è parte integrante del sistema ossido-riduttivo corporeo, ed in tal modo gioca una parte definita nella resistenza naturale. 
Nella epidemia di poliomielite del nord Canada nel 1946, 60 casi di questa malattia furono curati da noi. 
Questi pazienti presentavano tutti, o quasi tutti, questi segni e sintomi: febbre tra 38,3 °C (101 °F) e 40,3 °C (104,6 °F), mal di testa, dolore al retro degli occhi, congiuntivite, gola scarlatta, dolore tra le spalle, al retro del collo, a una o più estremità, ai lombi; nausee, vomito e costipazione. 
In 15 di questi casi la diagnosi fu confermata con puntura lombare, il conteggio delle cellule fra 33 e 125. 
Otto pazienti erano stati in contatto con un caso provato, a due di questo gruppo era stata fatta la puntura lombare. 
L’esame del fluido spinale non era stato fatto in altri pazienti per le seguenti ragioni: 
(1) Flexner e Amoss avevano avvertito che “la semplice puntura lombare effettuata anche con leggerissima emorragia apre la strada al passaggio del virus dal sangue al sistema nervoso centrale così promuovendo l’infezione.” 
(2) Un paziente che presenta tutti, o quasi tutti, i segni ed i sintomi citati, durante una epidemia di poliomielite, deve essere considerato infetto da questo virus. 
(3) La puntura lombare, fatta di routine, avrebbe reso obbligatorio riportare ogni caso diagnosticato alle autorità sanitarie. 
Ciò avrebbe privato me di materiale clinico di valore ed i pazienti di una terapia molto valida, dal momento che essi sarebbero stati trasferiti ad un centro ricettivo in una città vicina. 

Il trattamento impiegato fu vitamina C in dosi massicce. 
Essa fu data, come ogni altro antibiotico, ogni due-quattro ore. 
La dose iniziale fu di 1000-2000 mg, in funzione dell’età. 
Ai bimbi fino a 4 anni si facevano iniezioni intramuscolari. 
Poiché non c’erano laboratori per le analisi complete del sangue e per la concentrazione di vitamina C, la curva della temperatura era adottata come guida per cure addizionali. 
La temperatura rettale era registrata ogni 2 ore. 
Non si prendeva la risposta in temperatura dopo la seconda ora per indicare i secondi 1000-2000 mg. 
Se dopo 2 ore c’era una caduta della febbre, si aspettavano ulteriori 2 ore prima della seconda dose. 
Questa tempistica era seguita per 24 ore. 
Dopo questo tempo la febbre era consistentemente bassa, così il farmaco veniva dato in dosi da 1000-2000 mg, ogni 6 ore, per le successive 48 ore. 
Tutti i pazienti stavano bene clinicamente dopo 72 ore. 
Dopo che 3 pazienti ebbero una ricaduta, il farmaco fu continuato per almeno ulteriori 48 ore, 1000-2000 mg ogni 8-12 ore. 
Se furono fatte punture lombari, era regola trovare una inversione del fluido ed un ritorno alla norma dopo il secondo giorno di trattamento. 
Per i pazienti trattati a casa la dose era di 2000 mg, per ago ogni 6 ore, supplementati da 1000-2000 mg ogni 2 ore per bocca. 
La compressa veniva schiacciata e dissolta in succo di frutta. 
Tutta la vitamina “C” in succo di frutta è assunta dal corpo, ci attendevamo una azione catalitica da questo mezzo. 
Il Rutin, 20 mg, fu usato con la vitamina C per bocca in alcuni casi, in luogo del succo di frutta. 
Hawley ed altri hanno mostrato che la vitamina C presa per bocca mostrerà il suo picco di escrezione nell’urina nel tempo di 4-6 ore. 
La somministrazione endovena produce questo picco nel tempo di 1-3 ore. 
Per questa via, comunque, la concentrazione nel sangue sale così 6 improvvisamente che si presenta un eccesso transitorio nell’urina prima che i tessuti siano saturati. 
Alcune autorità suggeriscono che il metodo sottocutaneo è il più conservativo in termini di perdita di vitamina C, ma questo fattore è straordinariamente neutralizzato dal fattore del dolore inflitto. 
Due pazienti di questa serie di 60 rigurgitarono fluido attraverso il naso. 
Questo fu interpretato come rappresentativo del pericoloso tipo bulbare. 
Per un paziente di questa categoria devono iniziarsi un drenaggio posturale, la somministrazione di ossigeno, in qualche caso la tracheotomia, finché la vitamina C ha avuto tempo sufficiente per agire, nella nostra esperienza 36 ore. 
Il mancato riconoscimento di questo fattore potrebbe sacrificare la chance di recupero. 

Una volta prese queste precauzioni, ogni paziente di questa serie recuperò normalmente entro 3-5-giorni. 
Nel trattamento di altri tipi di infezioni virali fu adottata la stessa tempistica “fluida” di dosi. Nello Herpes zooster furono dati 2000-3000 mg di vitamina C ogni 12 ore, supplementati da 1000 mg in succo di frutta per bocca ogni 2 ore. 
In questa serie furono trattati 8 casi, tutti adulti. 
Per 7 ci fu la cessazione del dolore entro 2 ore dalla prima iniezione e così continuò senza l’uso di altri medicamenti analgesici. 
Le vescicole si seccarono entro 24 ore per 7 di questi pazienti e le lesioni scomparvero entro 72 ore. 
Furono fatte loro da 5 a 7 iniezioni. 
Una paziente, diabetica, dichiarò di essere sempre consapevole di una sensazione spiacevole, ma che non si trattava di un vero dolore. 
Sebbene i nove-decimi delle vescicole fossero scomparse nel solito periodo di 72 ore, le furono fatte 14 iniezioni, le ultime 7 di soli 1000 mg. 
Questa terapia extra fu seguita a causa di una piccola ulcerazione, diametro un pollice, infettata in modo secondario dalla rottura di una vescicola da parte di una stecca del corsetto, prima della prima visita. 
La vitamina C non ebbe apparentemente effetto su questa lesione, che fu guarita in due settimane con tintura composta di benzoina, localmente, e penicillina e sulfadiazina per bocca (la paziente rifiutò le iniezioni di penicillina). 
Uno dei pazienti, un uomo di 65 anni, venne a studio piegato in due dal dolore addominale dopo avere preso oppiacei nelle precedenti 36 ore. 
Dette l’impressione di essere in una condizione contenitiva acuta. 
Una massiccia matrice di vescicole si estendeva dalle radici del nervo dorsale fino all’ombelico, con una mano completamente aperta. 
Gli si dettero 3000 mg di vitamina C endovena e gli si chiese di ritornare a studio entro 4-5 ore. 
Fu difficile convincerlo che il suo dolore addominale era conseguenza del suo “fuoco di S. Antonio.” 
Tornò entro 4 ore completamente senza dolori. 
Gli si dettero 2000 mg addizionali di vitamina C, e seguendo la schedula temporale data prima, recuperò completamente in 3 giorni. 
Nello Herpes simplex è importante continuare il trattamento per almeno 72 ore. 
Abbiamo visto “vesciche febbrili”, che sembravano guarite dopo due infezioni, ripresentarsi quando la terapia fu interrotta dopo 24 ore. 
La vitamina C, in dosi di 1000 mg per 10 cc di soluzione tampone, non dette risposta quando fu applicata localmente. 
Questo fu vero indipendentemente dalla frequenza delle applicazioni. 
In parecchi casi 10 mg di riboflavina per bocca 3 volte al giorno, insieme a iniezioni di vitamina C, sembrò dare il risultato di una più rapida guarigione. 
La varicella ha parimenti dato una buona risposta, le vescicole rispondevano allo stesso modo di quelle dello Herpes. 
Queste vescicole diventavano croste dopo le prime 24 ore, ed il paziente stava bene entro 3-4 giorni. 
Abbiamo interpretato questa similarità nella risposta in queste 3 malattie come suggerimento che i virus responsabili erano strettamente in relazione l’uno con l’altro.

Molti casi di influenza sono stati trattati con la vitamina C. 
La quantità della dose, ed il numero di iniezioni richieste, erano in diretta proporzione con la curva della febbre e con la durata della malattia. 
Fu sempre raccomandato di assumere succo di frutta, a causa della frequenza e della facilità di ri-infezione durante certi periodi dell’anno. 
 7 La risposta della encefalite virale alla terapia con acido ascorbico era impressionante. Sono stati trattati e curati 6 casi di encefalite virale con iniezioni di vitamina C. 
Due casi erano associati alla polmonite virale, uno di seguito alla varicella, uno agli orecchioni, uno al morbillo ed uno alla combinazione di morbillo ed orecchioni. 

Nel caso che seguiva il complesso morbillo-orecchioni, fu trovata una prova inoppugnabile che conferma la convinzione che sono necessarie massicce e frequenti iniezioni di vitamina C nel trattamento delle infezioni virali. 
Un ragazzo di 8 anni fu visitato una prima volta con una temperatura di 40 °C (104 °F). 
Era letargico, molto irritabile quando molestato. 
La madre disse che aveva sviluppato gradualmente, nel corso dei precedenti 4-5 giorni, il suo presente quadro clinico. 
Il suo primo sintomo fu l’anoressia che divenne completa 36 ore prima della prima visita. Successivamente si lamentò di un mal di testa generalizzato, più tardi divenne stuporoso. Sebbene fosse molto atletico ed attivo, volontariamente si mise a letto. 
Gli furono dati 2000 mg di vitamina C endovena e gli fu permesso di tornare a casa perché non c’erano posti letto disponibili in ospedale. 
Fu chiesto alla madre di redigere un diario orario del suo comportamento fino alla visita per il giorno dopo. 
Visitato 18 ore dopo la iniezione iniziale di vitamina C, il diario rivelò una risposta veloce all’antibiotico: dopo 2 ore chiese cibo e mangiò di cuore una minestra, quindi giocò per casa come al solito e poi, per parecchie ore, sembrò che avesse recuperato completamente. 
Sei ore dopo l’iniezione iniziale cominciò a tornare nella condizione della sua prima visita.

Alla seconda visita la temperatura era di 38,7 °C (101,6 °F), era assonnato, ma rispondeva di solito alle domande. 
La rude irritabilità mostrata alla prima visita era incredibilmente assente. 
Gli fu fatta una seconda iniezione di 2000 mg di vitamina C e 1000 mg di “C” prescritta per bocca ogni 2 ore. 
Il giorno seguente era senza febbre e senza sintomi. 
Come misura precauzionale gli fu fatta una terza iniezione di 2000 mg con la prescrizione di continuare il farmaco per bocca per almeno 48 ore. 
Da allora è stato bene. 
Un ragazzo di 12 anni aveva mal di testa generalizzato una settimana dopo aver avuto gli orecchioni, poi malessere ed in 12 ore uno stato letargico e febbre a 40,6 °C (105 °F). Ammesso in ospedale gli furono dati 2000 mg di vitamina C e 1000 mg ogni 2 ore. 
Dopo la terza iniezione stava seduto nel letto, rideva, parlava, chiedeva con insistenza del cibo ed era completamente senza dolore. 
Fu dimesso 24 ore dopo l’ammissione e clinicamente guarito. Poiché ci sono delle recidive, se si interrompe il farmaco troppo presto, gli furono dati 2000 mg di vitamina C ogni 12 ore per due ulteriori giorni. 
L’uso della vitamina C nel morbillo si è dimostrata una curiosità medica. 
Durante una epidemia si usò la vitamina C per profilassi e tutti coloro che avevano ricevuto fino ma 1000 mg ogni 6 ore, per vena o per muscolo, furono protetti dal virus. 
Data per bocca, 1000 mg, in succo di frutta ogni 2 ore non fu protettiva a meno che non fosse data per tutto il giorno. 
Inoltre si trovò che 1000 mg, per bocca, da 4 a sei volte al giorno, di solito modificavano l’attacco; con l’apparire delle macchie di Koplik e della febbre, se la somministrazione era incrementata a 12 dosi ogni 24 ore, tutti i segni ed i sintomi scomparivano in 48 ore. 
Se si interrompeva il farmaco o se ne riduceva l’assunzione a 3 o 4 dosi in 24 ore, dopo la scomparsa delle macchie di Koplik, entro un periodo di altre 48 ore la febbre, la congiuntivite e le macchie di Koplik ritornavano. 
Fu nostro privilegio osservare questo quadro parecchie volte in 2 piccole volontarie per 30 giorni. 
Queste “aiutanti della ricerca” erano le mie due figlie. 
Il virus del morbillo era stato alla fine distrutto, in questo caso particolare, continuando con 12000 mg per bocca ogni 24 ore per 4 giorni. 
Abbiamo interpretato questo risultato come indicazione che, con la sospensione del farmaco al cessare dei segni e dei sintomi, restava una piccola quantità di virus che, dopo un ulteriore periodo di incubazione, produceva di nuovo il primo stadio del morbillo; quando si continuava il farmaco oltre lo stadio di eliminazione, il virus era distrutto in toto. 

Non si è visto alcun caso di broncopolmonite post-morbillo. 
La “tosse da morbillo” della bronchite da morbillo finiva dopo 3 o 4 iniezioni da 1000 mg di “C”, ad intervalli di 6 ore. 
Questo era vero anche quando altri 8 medicamenti, ben oltre la dose calcolata per la tosse, non avevano avuto effetto. 
Ogni volta che un paziente presentava una infezione da virus misti, come lo scomparire degli orecchioni e lo sviluppo del morbillo, si trovò che il raddoppio della dose di vitamina C era necessario per ottenere gli usuali risultati. 
Riguardo agli orecchioni, furono trattati 33 casi con acido ascorbico. 
Quando fu data vitamina C al picco della infezione, la febbre se ne andava entro 24 ore, il dolore entro 36 ore, il gonfiore in 48-72 ore. 
Due casi furono complicati con orchite. 
Un giovanotto di 23 anni, un venerdì mattina, sviluppò un’orchite bilaterale; per le 7 di quella notte aveva un forte dolore, aveva la febbre a 40,6 °C (105 °F) e i testicoli erano delle dimensioni di una palla da tennis. 
A quel punto fu iniziata la vitamina C, 1000 mg, ogni 2 ore, endovena. 
Il dolore cominciò a calmarsi dopo la prima iniezione e cessò in 12 ore. 
Dopo 36 ore la febbre era cessata. 
Il paziente fu fuori dal letto, risentendosi se stesso, dopo 60 ore. 
Aveva ricevuto 25000 mg di “C” in questo periodo di 60 ore. 

Un esperimento implicava 3 cugini: uno, un ragazzo di 7 anni, seguì la vecchia routine di riposo a letto, aspirina e applicazioni di olio caldo di canfora e iodex sulle ghiandole gonfie. Questo ragazzo passò una brutta settimana. 
Ad un secondo ragazzo, di 11 anni, fu consentito di sviluppare senza alcuna terapia gli orecchioni al punto del massimo gonfiore, quindi gli furono dati intramuscolo 1000 mg di vitamina C ogni 2-4- ore. 
Questo ragazzo si rimise completamente in 48 ore. 
Alla terza paziente, una ragazza di 9 anni, fu data la vitamina C nella curva di salita, quando il gonfiore era il 60% di quello atteso e la temperatura registrata a 39 °C (102,3 °F). 
La dose fu di 1000 mg di vitamina C data endovena ogni 4 ore. 
Questa ragazza stette, e continuò a stare bene, dal terzo giorno di trattamento. 
Ulteriori studi sul virus della polmonite hanno mostrato che la risposta clinica era migliore quando la vitamina C era data a questi pazienti secondo i tempi e le dosi esposte per la poliomielite. 
Quando era dimostrata l’infiammazione polmonare, la lastra X non mostrava infiammazione, in parallelo con il recupero clinico. 
In casi di consolidamento degli interi lobi, il ritorno alla normalità nelle lastre a raggi X ritardava di giorni rispetto alla risposta clinica. 
In tali casi bisognerebbe dare ogni 12 ore 1000 mg di “C” per almeno una settimana, dopo che il paziente sta apparentemente bene. 
Non c’è cambiamento nei risultati forniti in un precedente articolo: i pazienti stavano bene al terzo giorno di trattamento. 
Nell’usare la vitamina C come antibiotico non bisogna considerare alcun fattore di tossicità. Per confermare questa osservazione, fu dato acido ascorbico, da 500 a 1000 mg ogni 4-6 ore, per 5-10 giorni, a 200 pazienti consecutivi dell' ospedale. 
Un volontario ricevette 100 g in un periodo di 12 giorni. 
Va ricordato che il 90% di questi pazienti non aveva una infezione virale che favoriva la distruzione della vitamina. 
In nessun caso gli esami del sangue o dell’urina indicarono una qualsiasi reazione tossica, e non ci furono mai manifestazioni cliniche di reazione al farmaco. 
Quando la vitamina C era data per bocca, l’1 % di questi pazienti vomitò poco dopo avere preso il farmaco. 
In metà di questi casi si controllò il vomito con l’aumento del contenuto in carboidrati della miscela. 
Questa reazione non fu interpretata come manifestazione di tossicità, piuttosto si pensò che fosse dovuta ad una mucosa gastrica ipersensibile. 
La dose fu ridotta da 1000 mg a 100 mg nei bambini che mostravano questo comportamento: ci fu il vomito, come prima. 
Comunque, in questi stessi pazienti, la somministrazione di grandi e frequenti dosi di vitamina C, via ago, portò alla cura dell’infezione senza causare il vomito. 
Da un esame della letteratura si può con sicurezza stabilire che, in tutte le istanze di lavoro sperimentale con l’acido ascorbico sull’organismo virale, la quantità di virus usato era oltre la gamma della dose di vitamina somministrata. 
Nessuno si attenderebbe di dare sollievo ad una colica renale con una compressa di aspirina da 300 mg, (5 grani), con la stessa logica non possiamo 9 sperare di distruggere l’organismo virale con dosi di vitamina C da 10 a 100 mg. 
I risultati che abbiamo riportato sull’uso della vitamina C nelle malattie virali potrebbero sembrare fantastici. 
Tali risultati, comunque, non sono differenti da quelli che vediamo quando somministriamo sulfamidici, o i farmaci derivati dalle muffe, contro molti altri tipi di infezioni. 
In questi ultimi casi ci aspettiamo, ed in genere otteniamo, guarigioni in 48-72 ore, non c’è pertanto da affermare che si tratta di un lavoro miracoloso, quando diciamo che molte infezioni virali possono essere risolte entro limiti temporali simili. 

RIFERIMENTI
1. Sabin, 19??
2. Jungeblut, 19??
3. Fraser, 19??
4. Howitt, 19??
5. Brodie, 1934
6. Flexner, Clark and Amoss, 1914
7. Clark, Turner and Reynolds, 1926, 1927, 1929
8. Lenten and Hudson, 1934, 1935
9. Fairbrother and Hurst, 19??
10. Amoss and Taylor, 19??
11. Heaslip, 19??
12. Jungeblut, 1937
13. Harde, 19??
14. Kligler, 19??
15. Warburg, 19??
16. Borsook, 19??
17. Hawley, 19??

From Southern Medicine & Surgery, Volume 111, Number 7, July, 1949, pp. 209-214 [Note: The references listed above were derived from the article body; no detailed references or citations accompanied the article- AscorbateWeb ed.] HTML Revised 30 aprile, 2007. Corrections and formatting © 1999-2003 AscorbateWeb
Fonte originale: https://www.seanet.com/~alexs/ascorbate/194x/klenner-fr-southern_med_surg-1949-v111-n7-p209.htm



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