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Artemisia, ecco la verità sull' "erba magica" contro il tumore

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Per il direttore scientifico dell'Istituto dei Tumori di Milano, Marco Pierotti, potrebbe essere "una goccia di speranza". Ma ci vorranno ancora molti anni

Artemisia, ecco la verità sull' "erba magica" contro il tumore
Nella foto l'artemisia annua, considerata un'erba "magica" contro alcuni tipi di tumore
Credits: Getty  Images

di Eleonora Lorusso
Sarebbe in grado di distruggere il 98% delle cellule tumorali in pochissime ore, solo 16. Si chiama Artemisia Annua ed è stata rinominata "erba magica" proprio per questo suo presunto "potere". A sostenere l'efficacia delle cure a base di questa erba di origine cinese sono soprattutto alcuni medici dell'Università della California che, come riporta la rivista Spirit Science and Metaphysic , hanno condotto studi che "mostrano che l'artemisina ferma il fattore di trascrizione 'E2F1' e interviene nelladistruzione delle cellule tumorali del polmone, il che significa che controlla la crescita e la riproduzione delle cellule del cancro".
Per il dottor Len Saputo si tratta addirittura di una cancer smart bomb, una bomba intelligente contro il cancro: l'artemisia, infatti, si sarebbe rivelata efficace nella distruzione del 75% delle cellule tumorali resistenti alle radiazioni, nel cancro al seno, ovvero dove un'elevata propensione ad accumulo di ferro, in sole 8 ore, balzate fino al 100% dopo soltanto 24 ore.
Ma questa "erba magica" è davvero così efficace?
"Si tratta di studi interessanti e che hanno un fondamento" spiega a Panorama.it  Marco Pierotti, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano . "Anche se a prima vista si potrebbe pensare ad una di quelle notizie da lasciar perdere, esistono studi in proposito fin dal 2001, mentre quello più recente risale al 2011, quando sono stati condotti esperimenti in vitro".
Come funziona l'Artemisia Annua?
Questa erba era usata nella medicina cinese, poi venne dimenticata per un lungo periodo, fino a quando negli anni '70 si ritrovarono manoscritti che ne indicavano l'uso come antimalarico. Diciamo che può dare degli effetti positivi là dove c'è un'alta concentrazione di ferro, situazione che si verifica in alcuni tipi di tumore (non tutti, però), per garantire la rapida riproduzione delle cellule tumorali, sulle quali questa erba risulta "tossica". Insomma, non si tratta di una sorta veleno di scorpione...
Insomma, non è proprio una "bufala", ma cosa dicono gli studi in proposito?
L'ultimo lavoro, come accennato, risale al 2011 quando una company, che detiene un "mezzo brevetto", ha creato in laboratorio una molecola sintetica che riproduce gli effetti dell'erba. Al momento dunque esistono dati sperimentali in vitro, ma perché si possa davvero usare il principio alla base dell'azione dell'Artemisia Annua ci vorranno ancora diversi passaggi, dalle procedure su animali fino alle sperimentazioni cliniche. Insomma, occorrono ancora anni.
Cosa bisogna pensare allora della notizia dell'efficacia di questa erba?
L'atteggiamento corretto è partire dal presupposto che il cancro è una malattia complicata, dovuta alla complessità del nostro organismo e al fatto che la vita media si è allungata. Dunque non bisogna assumere un atteggiamento di chiusura verso eventuali cure non convenzionali, purché queste siano razionali e rispettino la metodologia della comunità scientifica. Il caso Stamina, ad esempio, dimostra che forse i 3 milioni di euro destinati alla sperimentazione sono stati tolti ad un'altra cura con la quale si potevano salvare delle vite.
Dunque non resta che aspettare?
Esatto, non resta che aspettare, perché la cura con l'erba Artemisia non è al momento una cura disponibile: possiamo considerarlo come un farmaco in via di sviluppo, una goccia di speranza, dal momento che ogni giorno in Italia si diagnosticano mille casi di cancro.
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Artemisia:Questa erba brucia il 98% del tumore in sole 16 ore! Ma nessuno ne parla!

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Artemisia Annua
I media ovviamente non potevano fare altro che NASCONDERE CON FORZA questa scoperta. Dovete sapere, infatti, che esiste un’erba il cui principio attivo, combinato con il ferro, è in grado di uccidere il tumore in sole 16 ore! Il suo nome è  “Artemisia annua”.
Ovviamente questa erba è boicottata dalle lobby perchè non costa nulla e la soluzione al problema cancro è molto rapid. Le case farmaceutiche puntano a soluzioni molto più durature e dispendiose per trarre profitto dalla salute dei pazienti, ma noi speriamo che ci aiutate a condividere questa notizia e farla giungere a chi davvero ne ha bisogno.
Come già sappiamo, il cancro è la malattia più letale esistente. Questa erba, l’ Artemisia annua, è una di quelle cure che può uccidere fino al 98% le cellule tumorali in appena 16 ore.
Vale a dire, secondo le ricerche pubblicate in “Life Science”, l’artemisinina, derivata dall’ Artemisia annua, è stata utilizzata nella medicina cinese e può uccidere il 98% di cellule del cancro del polmone in meno di 16 ore.
In realtà però l’erba in questione da sola sconfigge il 28% delle cellule cancerogene; è la sua combinazione con il ferro che porta alla totale distruzione del tumore: artemisinina + ferro =guarigione…
In passato l’artemisinina è stata utilizzata come un potente rimedio antimalarico ma ora è dimostrato che questa cura è efficace anche nella lotta contro il cancro. Questo perché quando si aggiunge del ferro alle cellule tumorali infettate, attacca selettivamente le cellule “cattive”, e lascia quelle “buone” intatte.
Gli scienziati che seguono le ricerche, condotte presso l’Università della California, hanno dichiarato: “In generale i nostri risultati mostrano che l’artemisinina ferma il fattore di trascrizione ‘E2F1′ e interviene nella distruzione delle cellule tumorali del polmone, il che significa che controlla la crescita e la riproduzione delle cellule del cancro”.
Utilizzando una varietà resistente alle radiazioni delle cellule del cancro al seno (che aveva anche una elevata propensione per l’accumulo di ferro) l’artemisinina si è dimostrata avere un tasso di uccisione del cancro del 75% dopo appena 8 ore, e uno del quasi 100% dopo appena 24 ore.
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Gli scompaiono 70 Tumori in 2 Settimane, ecco Cosa ha Fatto

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I medici non riuscivano a crederci quando lo hanno visitato due settimane dopo
Il Signor Ian Brooks   Un malato di cancro ha sbalordito i medici dopo essersi sottoposto ad un trattamento pionieristico: più di 70 tumori potenzialmente fatali gli sono scomparsi in appena due settimane. Ian Brooks, 47 anni, stava combattendo una rara forma del linfoma non-Hodgkin, un cancro che colpisce il sistema immunitario. Dopo diverse opzioni di trattamento fallito, aveva poche settimane di vita. Quindi, in ultima istanza, al signor Brooks, da Bolton, è stato offerto un nuovo farmaco antitumorale.
 Due settimane più tardi, i medici che lo hanno in cura presso l’ospedale Christie di Manchester sono rimasti stupiti quando hanno confrontato le scansioni del corpo dell’uomo e hanno scoperto che erano chiare dove prima c’erano i tumori. Il signor Brooks, un meccanico, è stata la prima persona al di fuori fuori degli Stati Uniti a provare il farmaco chiamato Brentiximab Vedotin. Il farmaco è ciò che è noto come un tipo di anticorpo monoclonale, ricerca le proteine specifiche sulla parte esterna delle cellule tumorali e poi le distrugge dall’interno. Si è rivelato essere un tale successo che ora è disponibile per i pazienti del Servizio Sanitario Nazionale Britannico (National Health Service, NHS) attraverso il Fondo farmaci contro il cancro.
Brooks ha detto: ‘Io non sarei qui oggi se non fosse stato per il lavoro innovativo che si svolge presso l’ospedaleMi sento incredibilmente privilegiato e apprezzo in prima persona la differenza che questo può fare per la vita delle persone. Il mio specialista che mi segue in ospedale era così eccitato quando ha visto i risultati che lui è venuto e ha voluto mostrarmeli subito. Avevo circa 70 tumori nel mio corpo e se ne sono andati - è stata una sensazione incredibile’.
Scansioni del corpo del signor Brook prima e dopo il trattamento. La sinistra lo mostra crivellato da 60-70 tumori da linfoma non-Hodgkin. La scansione di destra è di due settimane dopo essere diventato la prima persona al di fuori degli Stati Uniti ad avere preso un farmaco sperimentale contro il cancro. Le macchie nere sono i suoi reni e la vescica
Ci sono circa 1.500 i casi di linfoma non-Hodgkin in Gran Bretagna ogni anno, ma il signor Brooks era affetto da una forma ancora più rara della malattia chiamata linfoma a grandi cellule anaplastico. Gli era stato diagnosticato nel 2001 e inizialmente aveva risposto bene al trattamento, ma aveva avuto conseguenze devastanti quando il cancro era tornato nel 2008. Aveva poi subito un trapianto di cellule staminali, ma il cancro era tornato e si era diffuso in tutto il corpo, lasciandogli solo poche settimane di vita. La sua malattia era così grave che a questo punto che non aveva opzioni da scegliere, e si è offerto per prendere parte alla sperimentazione del farmaco.
La scansione prima che il signor Brooks si sottoponesse alla cura sperimentale
I medici avevano notato che Brooks mostrava notevoli segni di miglioramento dopo appena 24 ore dall’assunzione del farmaco, che distrugge le potenziali cellule tumorali dal di dentro. L’uomo ha detto: ‘Non potrò mai ringraziare abbastanza il NHS e l’ospedale per quello che hanno fatto per me. Sono stati tutti meravigliosi. Spero che la mia partecipazione a questo studio potrà aiutare altre persone nella mia posizione‘.
Dopo sole due settimane i suoi tumori sono scomparsi
Il Dr. Adam Gibb, che lavora presso il Christie, ha rivelato di essere rimasto molto stupito dai progressi che il signor Brooks ha fatto da quando ha assunto i farmaci salvavitaHa commentato: ‘Il farmaco può essere somministrato rapidamente e ha pochissimi effetti collaterali. Questa è probabilmente la più impressionante serie di scansioni che abbia mai visto. La sua malattia è in remissione ora e siamo sempre più convinti che lui ce la farà. Brooks ha detto: ‘Mi sento come se avessi qualcuno che veglia su di me perché dopo tutti i trattamenti e i tumori che ho avuto, sono ancora qui. Ero arrivato al punto in cui ho pensato che non c’era altro da fare. Quando mi è stato offerto di partecipare alla sperimentazione del farmaco, ero incredibilmente nervoso. Sapevo che non era mai stato somministrato al di fuori degli Stati Uniti. Ma in tutta onestà, è stata una cosa folle perché non era una questione di vita o di morte per me. Sapevo che se non avessi tentato sarei probabilmente morto una settimana o due più tardi.
Ian Brooks dice che non potrà mai ringraziare abbastanza il servizio sanitario britannico e l'ospedale che gli hanno dato l'opportunità di sperimentare sulla sua pelle il farmaco salvavita
Ma non sono state tutte rose e fiori, Brooks ha aggiunto che la brutalità dei farmaci ha avuto un impatto ancora più grave sul suo corpo rispetto alla chemioterapia – ma il tempo di reazione è stato notevolmente veloce. ‘E’ tutto un po’ sfocato nella mia mente, ma mi ricordo che mi sono stati dati i farmaci, che sono come una forma di chemioterapia, e ho trascorso la settimana seguente in ospedale. I medici hanno detto ho assunto un aspetto assolutamente orrendo nei giorni seguenti e stavo molto male. Ma quando hanno finito di farmi ulteriori test, si sono resi conto che era perché il mio corpo stava buttando fuori tutte le cellule tumorali morte, quindi, il fatto che stessi così male, era in realtà una cosa veramente positiva. Ho avuto due bozzi delle dimensioni di un uovo sulla testa per molto tempo. Poi una mattina la mia compagna Rose ha notato che erano spariti, non riuscivo a crederci. Il recupero è stato fisicamente stremante, ma è stato incredibile pensare che fosse un tale successo e sono massicciamente grato a tutti coloro che mi hanno aiutato‘.
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Secondo un nuovo studio le epidemie di infezioni batteriche nella storia dell’umanità potrebbero essere il risultato di cambiamenti ambientali

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Scritto da Leonardo Debbia il 12.08.2014
Studiando le modificazioni genetiche di un batterio patogeno vecchio di 450 anni, alcuni ricercatori britannici hanno sostenuto l’ipotesi che le epidemie di infezioni batteriche nella storia dell’umanità possano essere il risultato di cambiamenti ambientali casuali, piuttosto che di mutazioni genetiche.
In uno studio pubblicato sui Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS), un gruppo di ricercatori dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, ha analizzato 149 genomi di Salmonella enterica del ceppo Paratyphi A, una delle principali cause di febbri intestinali, che ancor oggi provoca nel mondo 27 milioni di casi all’anno, con circa 200mila morti.
Salmonella
L’autore principale, Zhemin Zhou, della Warwick Medical School, laureatosi in Biotecnologie all’Università cinese di Nankai, afferma: “Molti scienziati ritengono che quando scoppiano delle epidemie queste siano provocate da un aumento della virulenza o dell’adattamento del batterio patogeno all’ospite, eventualmente associati all’acquisizione o alla mutazione di qualche gene. Per vedere quanto questo corrispondesse alla realtà, abbiamo voluto esaminare i cambiamenti genetici di un batterio, risalendo indietro nel tempo”.
Il team ha così ricostruito la genealogia, la storia evolutiva e la trasmissione globale della Salmonella enterica del ceppo Paratyphi A, trovando che il batterio patogeno aveva avuto origine 450 anni fa, ma che non aveva subìto drastiche mutazioni nel corso dei secoli.
“Abbiamo scoperto che questo agente patogeno è formato da sette linee genetiche diverse che si sono diffuse solo a partire dalla metà dell’Ottocento”, dichiara Zhou.
Ripercorrendo la storia di questo batterio, è stato possibile identificare mutazioni genetiche che ne hanno migliorato la resistenza ai farmaci o l’efficienza metabolica. Queste caratteristiche si sono mantenute però per brevi periodi, presto rimosse da spinte evolutive.
“Noi interpretiamo la storia del Paratyphi A come un riflesso della deriva genetica piuttosto che una progressiva evoluzione”, afferma Mark Achtman, microbiologo a Warwick e co-autore della ricerca. “Questo suggerisce che molte epidemie di malattie batteriche nella storia dell’umanità sarebbero da imputarsi a cause ambientali probabilmente casuali. Questi probabili fattori potrebbero essere individuati, ad esempio, nella diffusione geografica oppure nella trasmissione ad ospiti inconsapevoli e non già all’evoluzione di organismi particolarmente virulenti”. Fonte http://gaianews.it

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Come funzionano le difese immunitarie

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Le difese immunitarie ci proteggono dall'aggressione di agenti infettivi, come virus e batteri.
Ci aiutano a riparare le ferite, a rimetterci dai traumi, a prevenire e contrastare i tumori.
In pratica, tenendo sotto controllo e reagendo opportunamente ad attacchi esterni o a malfunzionamenti interni, le difese immunitarie costituiscono contemporaneamente il sistema di sorveglianza e il reparto operativo d'emergenzache, attraverso una serie complicatissima di processi biochimici e cellulari, permettono all'organismo di mantenersi integro e sano.
Gli elementi in gioco nella risposta immunitaria sono tali e tanti che, nonostante decenni di ricerche approfondite, il suo esatto funzionamento resta ancora in gran parte ignoto.
Tuttavia, le migliaia di informazioni acquisite nel tempo hanno permesso di fissare alcuni concetti fondamentali che possono essere sfruttati per proteggerci meglio nella vita di tutti i giorni.


Le basi dell'immunità

Innanzitutto, si sa che il sistema immunitario è dotato di due comparti difensivi, deputati a compiti ben precisi.
Il primo è la cosiddetta immunità innata o immunità aspecifica, che è presente fin dalla nascita e rappresenta lo scudo fondamentale contro alcune infezioni molto comuni. Questo tipo di immunità è inoltre responsabile della risposta infiammatoria che si sviluppa in seguito a ferite, a traumi acuti e cronici o alla presenza di specifiche malattie (ad es., l'artrosi).
La protezione conferita dall'immunità innata si instaura rapidamente, rappresentando di fatto una sorta di sistema d'allarme che segnala l'avvenuta aggressione dell'organismo, ma è poco efficiente e non in grado di adattarsi ai cambiamenti costantemente attuati da virus e batteri per infettarci meglio.
Quindi, in molti casi, questo tipo di immunità non è sufficiente per debellare gli intrusi.

Fortunatamente, quando i microrganismi patogeni riescono ad aggirarla, entra in gioco la seconda linea difensiva, costituta dall'immunità adattativa o immunità specifica, molto più raffinata e in grado di riconoscere tutti i possibili agenti dannosi per l'organismo grazie a meccanismi estremamente complessi che coinvolgono diversi tipi e sottotipi di cellule del sistema immunitario (soprattutto i linfociti T e B e le plasmacellule derivate dai linfociti B dopo opportuna stimolazione), gli anticorpi (prodotti dai linfociti B), nonché un'articolata cascata di composti dalle svariate funzioni, chiamati citochine (che mediano segnali fra linfociti, fagociti e altre cellule del corpo).
Rispetto alla risposta primaria, la risposta secondaria compare più velocemente ed è più efficace.
L'immunità specifica si sviluppa soltanto dopo la nascita, principalmente nel primo anno di vita, continuando a potenziarsi e a diventare più efficace a mano a mano che si incontrano e si impara a contrastare i diversi agenti patogeni presenti nell'ambiente.


Questa linea di difesa può essere potenziata anche in modo "artificiale" e controllato attraverso le vaccinazioni, che rafforzano l'immunità specifica (addestrando il sistema immunitario a riconoscere rapidamente virus e batteri, come se li avessero realmente incontrati, ma senza farci ammalare) o utilizzando immunostimolanti che stimolano in modo non specifico il sistema immunitario.
I fattori che possono influenzarla
L'efficienza delle difese immunitarie non è costante nel corso della vita, ma può andare incontro ad alti e bassi in relazione all'età, alle condizioni fisiche complessive (gravidanza, debilitazione, peso corporeo, ecc.), allo stato nutrizionale, allo stile di vita e al livello di stress psicofisico cui si è esposti.
Rispetto all'età, si può dire che il sistema immunitario, che nell'infanzia è ancora parzialmente inefficiente (per immaturità) e in via di costruzione, arriva a esprimere le sue massime potenzialità protettive dopo la pubertà, mantenendole poi per tutta l'età adulta. A partire dai 50-60 anni, tuttavia, la sua capacità difensiva inizia progressivamente a declinare (deficit immunitario fisiologico dovuto alla senescenza delle cellule immunocompetenti), lasciando gli anziani mediamente più esposti alle malattie e meno in grado di reagire all'attacco di microrganismi patogeni.


Anche nel giovane sano, però, l'immunità può occasionalmente "non funzionare" se non si segue una dieta sana e varia, in grado di assicurare un apporto energetico sufficiente e tutti i micronutrienti essenziali per il buon funzionamento dell'organismo, come vitamine (in particolare quelle antiossidanti come la A, la C e la E e quelle del gruppo B) e sali minerali (soprattutto, lo zinco, caratterizzato da un'azione di potenziamento delle difese immunitarie).
Altrettanto importante è poi garantire all'organismo un riposo adeguato, dormendo regolarmente almeno 7-8 ore per notte, ed evitare stress eccessivi di qualunque tipo (professionale, familiare, sociale, psicologico) notoriamente in grado di interferire con l'efficienza della risposta immune.
Altri elementi che espongono a un maggior rischio di malattie sono il fumo (che riduce soprattutto le difese immunitarie locali di gola e bronchi, facilitando infezioni respiratorie da parte di virus e batteri), il consumo eccessivo di alcolici (che debilita l'organismo in generale) e uno stile di vita complessivamente "disordinato".


L'attività fisica ha invece un impatto ambivalente a seconda di quanto e come viene praticata:


se è eccessiva ed è svolta al freddo (ad es., in inverno all'aperto) può essere svantaggiosa e facilitare diversi malanni stagionali; se è moderata e regolare e praticata in un ambiente consono (piscina o palestra nella stagione fredda), al contrario, aumenta l'efficienza delle difese immunitarie, risultando protettiva.


Un ulteriore fattore negativo è rappresentato dalle terapie antimicrobiche (ad es., antibiotici):
preziosissime per contrastare infezioni specifiche, ma in grado di destabilizzare la microflora intestinale endogena.
In questo caso, per evitare di debilitare ulteriormente l'organismo dopo una prima malattia e aiutarlo a recuperare può essere utile integrare l'alimentazione con preparati multivitaminici e/o assumere probiotici o simbiotici, ossia associazioni di probiotici e prebiotici (che stimolano la crescita e/o l'attività dei probiotici) le quali aiutano a riequilibrare la microflora. Alcuni specifici probiotici si sono anche dimostrati in grado di proteggere da gastroenteriti e altre infezioni frequenti nei bambini nei primi anni di vita.
Per stimolare le difese naturali dell'organismo e aumentare la resistenza alle infezioni respiratorie, è possibile usare vaccini immunostimolanti, come i lisati batterici (sia nei bambini sia negli adulti).


Per finire, la gravidanza:
di per sé non riduce le difese immunitarie della donna, ma rende necessaria un'attenzione particolare nell'evitare (e nel curare presto e bene) ogni possibile malattia infettiva perché l'eventuale febbre associata può disturbare il bambino che si sta sviluppando. Quindi, oltre alla prevenzione e ad accorgimenti pratici, come lavarsi spesso le mani ed evitare luoghi affollati durante la stagione influenzale, durante l'attesa è importante assumere antipiretici (paracetamolo) anche quando l'innalzamento di temperatura è modesto (37,8-38 °C) ed eventualmente interpellare il medico.






Immunologia: risposta TH1-TH2 e infiammazione


Il sistema immunitario riceve continuamente innumerevoli input ai quali risponde in modo sia specifico che aspecifico e sia con reazioni acute che croniche.
Tra le sue reazioni, spiccano però, per frequenza e importanza, le risposte TH1 e TH2 e quella infiammatoria.

RISPOSTA TH1 E TH2
Esistono due tipi di risposta immunitaria linfocitaria:
la risposta TH1 e quella TH2.
La risposta TH1 è orientata in senso citotossico nei confronti di virus e batteri. È sostenuta dall’IFN-y (che attiva la produzione di radicali liberi, NO soprattutto, da parte dei macrofagi e inibisce la risposta TH2) e dall’IL-12 (che stimola le cellule NK a produrre IFN-y).
È una risposta carente nei Paesi industrializzati ove prevale la risposta TH2.
La risposta TH2 è orientata in senso anticorpale ed è tipica delle malattie allergiche. È sostenuta dall’IL-4 (che attiva i linfociti B e la produzione di Ig E), dall’IL-5 (che recluta eosinofili in presenza di parassiti), dall’IL-13 e dall’IL-10 (che è una citochina antinfiammatoria, blocca l’IL-3, l’IL-5, l’IL-12, la produzione di IFN-y e la risposta TH1, ma è proinfiammatoria nei confronti dei processi allergici).
La natura dell’antigene seleziona il tipo di risposta. In ogni caso non tutti i virus inducono una potente risposta TH1.
Il virus dell’influenza e del morbillo, ad esempio, sopprimono la risposta TH1 e vaccinando contro il morbillo i bambini di pochi mesi, con sistema immunitario ancora immaturo, è possibile squilibrarli in senso TH2 con conseguente iperattività allergica.


RISPOSTA INFIAMMATORIA
La risposta infiammatoria si sviluppa in seguito a diversi stimoli, come infezione e danno tessutale. La risposta infiammatoria acuta è rapida, di breve durata e comporta effetti locali e sistemici. La risposta locale è caratterizzata da gonfiore, arrossamento, calore, dolore e perdita funzionale. Inizia quando il danno tessutale ed endoteliale stimola la formazione di mediatori plasmatici che inducono vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare.
Si verifica lo stravaso dei neutrofili e quindi dei monociti. L’attivazione dei macrofagi tessutali comporta la secrezione di IL-1, IL-6 e TNF-a che agiscono localmente e a livello sistemico.
La risposta infiammatoria sistemica è detta risposta di fase acuta. È caratterizzata da febbre, aumentata sintesi di ACTH e corticosteroidi e produzione di proteine di fase acuta da parte del fegato. Molti di questi effetti sono dovuti all’azione combinata di IL-1, IL-6 e TNF-a. Queste citochine agiscono sull’ipotalamo inducendo una reazione febbrile (che inibisce la crescita di numerosi patogeni e potenzia la risposta immunitaria al patogeno), promuovono la sintesi di proteine di fase acuta (proteina C reattiva, amiloide A sierica, fibrinogeno, componenti del complemento e in minor misura a1-antitripsina, a1-glicoproteina acida, a1-antichimotripsina, aptoglobulina e ceruloplasmina).
Nella fase acuta diminuisce la transferrina e l’albumina.
La proteina C reattiva aumenta in corso di infezione, di infiammazione cronica, ma anche in caso di eventi stressanti e malattie come depressione e tumori.
Essa stimola la risposta immunitaria e infiammatoria in quanto attiva il complemento, la fagocitosi e la cascata della coagulazione. In contemporanea, inibisce la migrazione dei neutrofili e induce la produzione dell’antagonista recettoriale dell’IL-1 che è il principale sistema di autocontrollo degli effetti infiammatori dell’IL-1.
La proteina sierica amiloide ha una prevalente azione proinfiammatoria in quanto induce il richiamo e l’adesione all’endotelio vasale delle cellule immunitarie. Le antiproteasi neutralizzano le proteasi rilasciate da neutrofili e macrofagi. La diminuzione della transferrina si associa a una riduzione della sideremia e ad un aumento della ferritina.
Ciò consente di ridurre il ferro, che potrebbe essere utilizzato per la crescita di batteri, e anche limitare la produzione di idrossil radicale in presenza di acqua ossigenata (prodotta dalle cellule immunitarie e dai tessuti infiammati).
La risposta infiammatoria cronica si ha a causa della persistenza dell’antigene e può essere dovuta a infezioni da parte di microrganismi resistenti alla fagocitosi o a varie condizioni patologiche, come in molte malattie autoimmuni in cui gli autoanticorpi attivano continuamente i linfociti T.
La caratteristica dell’infiammazione cronica è l’attivazione dei macrofagi e il rilascio di citochine da essi prodotti.
Queste stimolano la proliferazione di fibroblasti e la produzione di collagene con conseguente reazione di fibrosi e a volte formazione di un granuloma. L’IFN-y (prodotto dai linfociti TH1, dalle cellule NK e dai linfociti TC) e il TNF-a (secreto dai macrofagi) hanno un ruolo centrale nello sviluppo dell’infiammazione cronica.
L’IFN-y attiva i macrofagi ed essi rilasciano enzimi e prodotti intermedi reattivi dell’ossigeno e dell’azoto che danneggiano i tessuti circostanti. Il TNF-a contribuisce al danno tessutale in corso di infiammazione cronica.

di Lucia Gasparini
La dr.ssa Gasparini è autrice del libro "Multidisciplinarietà in Medicina"
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